Nel teorizzare il rapporto tra automi e organismi viventi, Georges Canguilhem osserva che la “spiegazione meccanica delle funzioni della vita presuppone storicamente… la costruzione di automazioni”: sarebbe “tautologico” spiegare gli organismi viventi attraverso meccanismi che dipendono ancora dalla forza motrice umana. Canguilhem ha capito che l’anacronismo e l’errato riconoscimento sono endemici del rapporto uomo-macchina che abbiamo, dal 1947 in poi, chiamato “automazione”. Se in superficie egli fa una semplice argomentazione storica sul fatto che il movimento della macchina è svincolato dalla forza motrice umana, c’è qualcosa di strano nel gesto che ne deriva: poiché i due sono svincolati, gli esseri umani possono ora essere compresi in termini di automi. Da questo punto in poi, quella relazione è caratterizzata due volte dall’anacronismo – c’è ora una questione abissale di priorità tra l’umano e la macchina, indicizzata da cui si dice che si spieghi l’altro – e l’errato riconoscimento – l’uno viene ora letto secondo le proprietà dell’altro, che l’altro si appropria. Allo stesso modo, quando l’automazione diventa una capacità tecnica nell’impianto Ford si verifica un altro cortocircuito, sovrapponendo anacronisticamente le macchine all’uomo – non fino a quando l’una sostituisce l’altra, ma fino a quando l’automazione adotta i contorni del carattere del lavoro umano. Ora, parlando di macchine che lavorano, ci dimentichiamo degli esseri viventi sottostanti.